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TI FARO’ DONO DI UNA PIETRA, TI FARO’ DONO DI UNA PORTA

Dal libro allo spettacolo teatrale

Ti farò dono di una Pietra Ti farò dono di una Porta  –  Vanna Alvaro – Anno 2020 – 88 Pagine – € 14,90

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Ti farò dono di una pietra, ti farò dono di una porta è molto più di un libro di poesie emozionanti, sia perché all’interno ci sono quindici acquerelli a colori dell’artista Alessandra Medulla, in arte Smedu, sia perché la silloge ha dato vita a uno spettacolo teatrale dal titolo Parole e silenzi. Anime in viaggio che, nelle tre sere di rappresentazione, ha realizzato il tutto esaurito.

L’autrice è Vanna Alvaro, esempio eclatante di Donna multitasking, di professione psicologa clinica e formatrice aziendale, ma anche poetessa, saggista, sceneggiatrice, organizzatrice di eventi e, last but not least, mamma di due ragazzi.

Ti farò dono di una pietra, ti farò dono di una porta è diviso in cinque capitoli emozionali, Sorpresa, Gioia, Tristezza, Rabbia, Luci e Ombre, cosa che, come scrive il giornalista Fabio Angeloni nella prefazione, “potrebbe sembrare un vizietto da terapeuta e forse lo è”, ma che abbracciano un percorso di cambiamento interiore dell’autrice stessa. 

Per il lettore che apre questa chicca di libro, tutte le liriche di Vanna rappresentano una sorta di rimedio salvavita, un farmaco omeopatico d’urgenza, che lavora dall’interno, tracciando linee indelebili di speranza, empatia e amore profondo, da assumersi prima, durante e dopo i pasti, anche in dosi massicce, poiché non presenta nessuna controindicazione. 

Vanna Alvaro, alla sua prima silloge poetica (ma la sua prima poesia la coniò all’età di otto anni), ci racconta che questa silloge ha origine dalla sua esigenza di sentirsi più libera nel linguaggio rispetto ai numerosi saggi che ha pubblicato in passato.

Ma come è nato questo libro così originale e, soprattutto, come si collega all’idea di mettere in scena lo spettacolo teatrale?

“Queste poesie sono il frutto di un lungo periodo di un mio personale cambiamento – spiega Vanna Alvaro – Dopo una giornata di consulenze e appuntamenti con i miei pazienti, amo chiudermi nella mia bolla creativa e scrivo in libertà, portando fuori quello che ho dentro. La grande sfida è proprio quella di trovare le parole giuste per farlo. Un giorno inviai una delle mie poesie, e precisamente Sul Filo, l’ultima del capitolo Tristezza, a un importante concorso letterario e, con mia grande sorpresa, vinsi il primo premio che consisteva in un’importante cifra in denaro. Forte di questa gratificazione ho pensato di raccogliere tutte le mie poesie in un libro. Intanto avevo conosciuto l’artista Alessandra Medulla, mi ero innamorata dei suoi acquerelli, con lei c’è stata una grande, immediata empatia, una bellissima intesa di anime, così le chiesi se voleva illustrare un libro di poesie, il mio. Lei accettò, e da lì in poco tempo ecco che il libro si è materializzato. Quando poi abbiamo fatto il battesimo di questa mia creatura cartacea, c’è stata una grande partecipazione di pubblico, anche perché ero riuscita a creare un piccolo spettacolo. Coinvolsi l’attrice Anna Rita Manduca e una coppia di danzatori, anche perché sono molto a favore delle contaminazioni artistiche e desidero che in tutto quello che faccio ci sia sempre una sinestesia, una comunione di intenti e di anime. Alla fine eravamo diventati un team, così, in maniera molto naturale, ci venne l’idea di mettere in scena uno spettacolo, di cui io stessa ho scritto la sceneggiatura. A Nicola Fabrizio, attore e regista teatrale, l’idea piacque subito e dopo un bel po’ di tempo di riunioni, prove, discussioni e aggiustamenti, siamo andati in scena, vendendo tutti i biglietti già un mese prima … della prima.”

In tempi in cui i teatri fanno fatica a riempirsi, la storia di Vanna Alvaro, poetessa quasi per caso, sembra una favola. E come tutte le favole, anche Ti farò dono di una pietra Ti farò dono di una porta ha il dono di trasportare i lettori in un mondo onirico e un po’ magico, dove il re incontrastato è l’Amore, non solo quello inteso nel senso più classico, ma soprattutto quello per la Vita. 

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“GATTI NEL MONDO”

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MANUALE PER GATTOFILI E AMICI DEI MICI

GATTI NEL MONDO – Giuseppe Enrico Toccafondi – 

Aracne Editore – 2020 – 371 pagine – € 35,00

Sono tanti i libri dedicati a Sua Maestà il Gatto, ma questo “Gatti nel Mondo” (Aracne Editore), di Giuseppe Enrico Toccafondi è certamente l’opera più completa che spiega e analizza in tono scientifico, ma con un linguaggio semplice per farsi comprendere anche da chi di questo meraviglioso mondo felino conosce soltanto ciò che ha imparato convivendo col proprio micio domestico, origini, varietà, caratteri, provenienze e caratteristiche delle centonovantadue varietà di gatti esistite ed esistenti. 

Nato dalla lunga esperienza dell’autore, allevatore di gatti persiani, “Gatti nel Mondo” vanta circa duecentocinquanta tavole a colori, realizzate ad acquerello dallo stesso Toccafondi e ha la preziosa prefazione di Lilia Golfarelli, giudice in tante manifestazioni feline e allevatrice lei stessa di maine coon, la razza di gatto americana famosa per la particolarità della mole imponente, ma con un carattere dolce, equilibrato e addestrabile.

Dalle razze più conosciute e consolidate in tutto il mondo, quali persiani, siamesi, angora, certosini, norvegesi, sacri di Birmania, ragdoll, l’unica razza di gatto usata per la pet therapy, ai delicatissimi sphynx, i gatti nudi, pixie bob, savannah e bengala, piccoli giaguari dal carattere selvaggio, scottish fold, il micio con le orecchie piegate, turco van, york e toyger, tiffany, somalo, snowshoes, dalle zampine come candide scarpette di … neve appunto, a tante e tante varietà di piccoli felini domestici semisconosciuti. 

Nelle trecentosettanta pagine di questa guida per gattofili e amici dei mici, l’autore tocca tutta una serie di argomenti utili, o meglio fondamentali, non soltanto per chi volesse intraprendere l’attività di allevatore, ma anche per chi decidesse di acquistare un gatto di una razza piuttosto che di un’altra, o per chi vorrà adottare un gatto soriano, non di razza, magari prelevandolo da un gattile o togliendolo dalla strada.

Le patologie e la predisposizione genetica dei gatti ad alcune malattie, varia di razza in razza. L’argomento è vasto, si va dalle malattie ereditarie a quelle genetiche, quelle la cui causa è insita nel genoma, ossia nel patrimonio genetico del soggetto felino. 

Una curiosità assai interessante è il paragrafo dedicato alle trentatré varietà di gatti ormai estinte, ossia quei piccoli felini che hanno popolato e anche rallegrato il nostro pianeta ma che, vuoi perché portatrici di importanti difetti genetici, vuoi perché non ritenute interessanti dagli allevatori stessi, hanno cessato di esistere. Come per esempio gli Edimburgh Tailles, nati in Scozia nel 1809 e di cui ormai si è totalmente persa traccia. O il Gao Them, antico gatto thailandese, che presentava nove macchie distribuite in maniera incredibilmente simmetrica su un mantello candido e con degli incantevoli occhi verdi. O, ancora, il Gatto del Paraguay, una volta conosciuto come gatto nano sudamericano, varietà scoperta nel 1830 e riprodottasi non per molti anni a causa del nanismo che genera gravissime problematiche nei feti. 

Sapevate che in alcune zone interne della Tailandia si possono ancora trovare i rarissimi Ninlaret Cat,   gatti totalmente neri, compresi occhi, lingua, denti e artigli? E che sono esistiti i Socotranesi, mici di tipo somalo, ma con brillanti striature argentee su mantello candido oppure nero pece? O, ancora, che il gatto bobtail americano è estremamente affascinato dagli oggetti che luccicano e che, proprio come le gazze ladre, tende a prenderli e a nasconderli?

Dall’esperienza di allevatore dell’autore, coadiuvato da altre esperienze di colleghi allevatori, nasce così “Gatti nel mondo”, un ricchissimo manuale, illustrato a colori e di facile lettura, sia per gli appassionati sia per gli interessati alla nascita, alla storia, alle leggende riguardo le moderne varietà di gatto domestico, alle caratteristiche e alla genetica dei piccoli felini domestici. Il libro è un’opera innovativa rispetto alla molteplicità di libri che parlano di gatti, utile per chi alleva e per chi desidera saperne di più, prima magari di cimentarsi nell’affascinante hobby dell’allevamento felino. Allevare gatti è una grande passione, che deve essere portata avanti in maniera corretta, solitamente anche con l’impiego di notevoli risorse economiche, al fine di prevenire patologie soprattutto di ordine genetico e per preservare, tutelare e difendere le attuali varietà di gatto domestico, talvolta influenzate da mode passeggere, che possono deteriorare indelebilmente il pool genetico di una selezione.

Sfogliando le pagine di questo prezioso vademecum, imprescindibile must to have per chi si professa … gattolico praticante, ci si imbatte in storie curiose. Tipo quella della nascita dello sphynx, meglio conosciuto come gatto nudo che poi, a ben guardare, nudo non è, poiché a differenza dei rarissimi kohona, gatti di origine hawaiana, realmente privi di pelo, lo sphynx è dotato di bulbi piliferi. Ebbene, i primi esemplari di questo singolare micio dalle enormi orecchie posizionate su un musetto triangolare, pare siano apparsi come mutazione spontanea determinata dal gene hr, ossia hairless, già nell’antichità, in diverse cucciolate di normalissimi gatti domestici. Ma i primi esemplari a cui si riesce a risalire, tali Nellie e Dick, vennero acquistati nel 1902 da una facoltosa coppia in New Messico, in quanto ultimi esemplari di una stirpe appartenuta agli indiani del pueblo locale. I primi veri esperimenti di allevamento però iniziarono in Canada, con un paio di micetti “nudi”, nati da una cucciolata di randagi e accolti in casa per proteggerli dal gelido inverno canadese. Fu solo nel 1978 che tale Hugo Hernandez, allevatore olandese, iniziò a selezionare questa varietà di felini grazie a Punkie e Paloma, dirette discendenti di quei cuccioli nudi salvati dal gelo anni prima, capostipiti della linea europea della selezione del canadian sphynx. Da quando poi la TICA (The International Cat Association, la più importante federazione felina, di origine nord americana), più di venti anni fa, riconobbe questa razza iscrivendola nei suoi registri, oggi ci sono migliaia di gatti sphynx registrati nel mondo. Ma la storia del gatto erroneamente definito nudo assume aspetti per alcuni versi inquietanti quando a un allevatore viene in mente di tentare un esperimento e creare deliberatamente il gatto bambino, ovvero un’ibridazione tra gatti di tipo munchkin (il “gatto bassotto” con zampe anteriori leggermente più corte di quelle posteriori, nato casualmente da una cucciolata in Louisiana) e sphynx. Così, nel 2006, la TICA riconosce il gatto bambino, una sorta di sphynx … bassotto, come razza sperimentale e di fatto lo inserisce nel Registro Felini rari ed esotici.

Dall’insana propensione dell’essere umano al volersi sostituire a Madre Natura nella creazione di nuove varietà di esseri viventi, hanno origine sempre nuove varietà di felini, che solleticano la vanità di coloro desiderosi di possedere un gatto con un aspetto originale, o con caratteri e caratteristiche creati su misura per i gusti e le esigenze umane, dimenticando però che, comunque venga catalogato quel tenero esserino peloso dallo sguardo magnetico, è sempre un gatto e, in quanto tale, impossibile da “possedere”. Questo perché, ricordiamocelo sempre, un gatto non si farà mai possedere, bensì sarà sempre e solo lui a possedere – oltre al divano e al letto – anche il cuore di noi umani.

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APOLLO, EUTERPE, TERSICORE E LE ALTRE

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APOLLO, EUTERPE, TERSICORE E LE ALTRE DI MANUELA MINELLI

Apollo, Euterpe, Tersicore e le altre – Manuela Minelli – Elisir Letterario – 2020 – 76 pagine – € 15,00


Un’…autorecensione

Ci sono idee che vengono costruite, ragionate, strutturate e ben confezionate e altre che, al contrario, nascono spontanee, quasi per un’esigenza naturale, così come nascono i fiori nei prati o i frutti sugli alberi. Ecco, questo è quello che è accaduto con il Festival delle Arti, meglio denominato “Apollo, Euterpe, Tersicore e le altre”. Laddove “le altre” sta per le altre Muse.
L’idea primaria che ha fatto sì che artisti, poeti, musicisti, danzatori e attori venissero coinvolti e, a loro volta, coinvolgessero tante, tantissime altre persone, all’inizio era nata come una semplice mostra collettiva di arte contemporanea: quattro artisti di differenti età ed esperienze di vita, scuole e tecniche artistiche, uniti con le loro opere su un tema universale, “Paesaggi interiori in tempi moderni”. Una mostra corale, come ce ne sono tante, più o meno prestigiose, in ogni città del mondo. La location scelta tra molte è uno dei posti più magici della capitale, un luogo dove il tempo sembra essersi fermato, perfettamente in linea con il tema preposto e oltretutto nel cuore di Roma, il
Polmone Pulsante. Quindi, dicevamo: era ancora febbraio, avevamo i quattro artisti e avevamo ventidue opere d’arte, avevamo anche la disponibilità di un’incredibile location, nonché un’intera settimana di primavera – e sapete no quanto le primavere romane possano essere foriere di nuovi stimoli, catalizzatrici di belle energie, romantiche e poetiche? – Poetiche, appunto. Quelle opere pittoriche, quel luogo, la
magia dei Fori Imperiali di sera, l’aria frizzantina, tutto ci parlava di Poesia. E la maiuscola non è casuale. Quindi ci siamo detti “Perché non coinvolgere i poeti?”. Quei quadri sembrava proprio ce lo richiedessero. La scelta non è stata affatto facile perché, sebbene la poesia in Italia commercialmente parlando, a giudicare anche dalle vendite dei libri, sembra essere un po’ il fanalino di coda della letteratura, c’è un mondo di poeti contemporanei, spesso tradotti anche all’estero, che hanno pubblicato e continuano a pubblicare libri di grande valore e bellezza, straordinarie voci poetiche che in pochi versi sono capaci di far vibrare corde interiori altrimenti dimenticate. E così è partita la proposta di illustrare, ognuno con la propria poetica, l’essenza di
quelle opere d’arte. Ventidue poeti, uno per ogni quadro, insieme agli artisti, sono stati i
protagonisti dei pomeriggi del Festival, non soltanto con i loro versi come poetica didascalia di ogni opera in mostra, ma anche con la presentazione dei loro libri, in una maratona poetica in cui ognuno raccontava, illustrava, scandagliava il libro dell’altro. Il Festival ha così potuto vantare la partecipazione di Poeti provenienti anche da fuori Roma, con le loro poesie composte appositamente per i quadri in mostra.
A questo punto Apollo – che in assenza di una Musa dell’Arte per alcuni storici sembra essere stato una sorta di mecenate degli artisti del tempo – Calliope ed Erato erano con noi. Mancavano ancora però Tersicore, Euterpe, Talia e Melpomene, che ormai il Festival si stava delineando come qualcosa in cui le arti delle Muse dovevano essere protagoniste.
La danzatrice è giunta a noi come un dono: sorridente e fresca, leggiadra e fluttuante, giovane promessa della Danza con già un buon curriculum coreutico, lei stessa sembrava essere Tersicore.

Poi, sarà che le voci corrono veloci o forse che le Muse a quel punto ci avevano davvero preso in simpatia, e rapidamente sono arrivati anche un’altra soave fanciulla con il suo violino e un giovane violoncellista, tutti professionisti della musica, che hanno deliziato il pubblico del Festival durante il vernissage e anche nella serata del finissage della mostra. La Musa della musica ci aveva quindi fatto questo regalo. Ora Talia e Melpomene, rispettivamente Muse della commedia e della tragedia, non potevano certo lasciare da sole le sorelle ed ecco quindi che alle prime due attrici, già nostre amatissime conoscenze che avevano aderito alla nostra proposta con grande entusiasmo, se n’è aggiunta una terza, così da consacrare questo Festival delle Arti a Festival delle Muse, qualcosa che è nato gettando in un lago un sasso, che ha generato dei cerchi e ogni cerchio ha generato vibrazioni, le quali hanno dato vita ad altre vibrazioni e ad altre ancora, fino alla realizzazione di un lavoro corale che si è espanso e che è raccontato in questo piccolo grande libro, pieno di foto a colori, di storie, interviste, poesie e anche un po’ di backstage del Festival e che sta ancora generando vibrazioni, dove hanno trovato spazio anche l’Arte gastronomica e quella enologica per nutrire, oltre l’anima, anche il corpo.
Ecco, in “Apollo, Euterpe, Tersicore e le altre” abbiamo voluto raccontare con parole e immagini l’atmosfera del Festival delle Arti, organizzato da Elisir Letterario, anche se quello che abbiamo vissuto tutti in quella settimana, l’atmosfera, la magia, l’attesa, il bagno di folla, i complimenti e le richieste di partecipare alle prossime edizioni, il pathos, l’allegria e la commozione, sono emozioni difficilissime da riprodurre a parole.
E scusate l’autorecensione!

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“IN TUTTI I SENSI” DI MARTA TELATIN

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“IN TUTTI I SENSI” L’ULTIMO LIBRO DI MARTA TELATIN CHE RACCONTA TUTTI I COLORI DEL BUIO

In tutti i sensi – Marta Telatin – Rapsodia Edizioni – Anno 2019 – 160 pagine – € 13,50


Esce in questi giorni per la casa editrice Rapsodia la seconda edizione del nuovo libro della poetessa, pittrice e scrittrice Marta Telatin, un libro che insegna a scoprire, comprendere, assimilare e quindi vivere i tanti sensi che ognuno ha dentro di sé. Lei ne ha individuati almeno ventitrè.

L’autrice di “In tutti i sensi” ha trentacinque anni e da ventidue è non vedente a causa di una malattia che la colpisce a soli tredici anni. Dopo la disperazione e la rabbia, Marta capisce che è assolutamente inutile perdere tempo ed energie ad arrabbiarsi col destino, molto meglio trasformare la disabilità che le è toccata in un punto di forza e, man mano che la sua vita procede, dopo gli studi universitari, non solo scrive e pubblica poesie meravigliose, racconti e dipinge quadri che esprimono tutta la forza vitale di cui è capace, ma si dedica ad insegnare ai ragazzi delle scuole elementari, medie e superiori, nonché a studenti universitari, a scovare tutti i numerosi sensi nascosti in ognuno di noi. Allarga questi suoi laboratori anche ai detenuti del carcere di Padova, città dove vive, e questo suo ottavo libro racconta con la massima ironia la sua esperienza con i ragazzini delle scuole medie, coadiuvati da un professore di lettere che diventerà per lei molto speciale.

Al momento Marta ha un calendario assai fitto per le presentazioni di questo suo ultimo libro: i suoi reading interattivi coinvolgono il pubblico facendolo, non solo divertire, ma anche rendendolo consapevole di quanti colori – e quindi sensazioni, impressioni, pensieri e insospettabili realtà – vivono all’interno di ognuno di noi.

Quando pubblicai il mio primo libro di poesie – racconta Marta – suggerii al pubblico di chiudere gli occhi durante la lettura. Si legge ad alta voce ma si ascolta ad occhi chiusi. Così le interazioni sensoriali con il pubblico si sono trasformate, fino a creare veri e propri spettacoli che propongo oggi, in cui invito gli ascoltatori a diventare esploratori di parole attraverso la polisensorialità. Ho dato vita a laboratori sull’importanza dei sensi per interagire con noi stessi, con gli altri e con l’ambiente, usando al termine delle attività, tra cui anche la scrittura, possibile contenitore di emozioni: il foglio diventa uno scrigno in cui custodire aneddoti personali dimenticati, esperienze e sensazioni”.

E quando un giorno un cantautore disse a Marta che quando scrive sembra proprio che stia dipingendo, lei decide di comprare tele e colori acrilici e comincia a giocare con le mani, il colore e con quello che ha voglia di comunicare attraverso il movimento sulla tela. Il risultato è un’esplosione di colori vivaci e…movimentati che lei chiama “poesia astratta da arredare” o anche “cura del colore”. Abbonda con il colore sulla tela perché, come lei stessa afferma “l’idea è di lanciare il colore addosso a chi guarda”, così le sue tele, oltre che da guardare, diventano anche quadri tattili, da toccare.

Mai melenso o autoindulgente, “In tutti i sensi” si legge in un fiato, ma è anche un libro da assaporare lentamente, magari sedendosi ad ascoltare sé stessi e provare a mettere in pratica gli esercizi che questa singolare insegnante di Sensazioni, invita a compiere.

“In tutti i sensi” è diviso in capitoli che hanno ognuno il nome di un colore, l’epilogo si intitola invece Arcobaleno e il libro continua con le parole dei ragazzi che hanno seguito i suoi laboratori e con un esercizio che l’autrice invita i lettori a compiere. E chissà che da quell’esercizio, scoprendo gli affluenti dei principali cinque sensi, al lettore non capiti di scoprire l’infinita gamma di colori e percezioni che teneva ben celati dentro di sé.

“Polisensorialità” questo il termine che è diventato uno stile di vita per Marta Telatin che, a differenza di altre persone nella sua situazione, ha saputo far sì che questa sua disabilità diventasse uno straordinario punto di forza per esprimere sé stessa e le sue capacità, trasformando la sua vita in versi e – come lei stessa ama dire – “in bolle colorate”.

Non che sia filato tutto liscio e che abbia accettato la mia condizione facilmente fin da subito – racconta Marta – ci sono stati tanti momenti di rabbia, tristezza e non accettazione, ma alla fine la poesia dei colori ha inondato la mia vita che è sempre un turbinio di impegni”.

Marta Telatin legge e scrive tantissimo. Ma come si fa a leggere e scrivere da non vedenti?

Quando ho perso la vista ho dovuto imparare il braille, ma se lo impari a tredici anni il tatto non è sviluppato e sensibile come a sei e la preparazione che può avere un bambino cieco dalla nascita è diversa – spiega – Scrivevo in braille con un’apposita macchina da scrivere o con un aggeggio tecnologico che poi stampava il tutto in “nero” ossia nel formato leggibile ai vedenti. Studiavo e leggevo con le audiocassette che non sempre erano registrate con voci espressive. Poi, finalmente, la tecnologia si è evoluta ed è arrivato il pc con la sintesi vocale. Oggi faccio tutto con la sintesi: un programma che legge quello che scrivo o i libri che acquisto in e-book . Io sono per i libri in carta, ma per noi non vedenti l’e-book è stata una grande conquista. Posso leggere l’ultimo libro del mio scrittore preferito appena esce in libreria proprio come tutti voi! Comunque il braille lo uso ancora ogni tanto se devo mettere un’etichetta a qualcosa, ma il computer e il cellulare con il voice over mi hanno cambiato la vita. L’accessibilità è cambiata.

Comincia/ad allenare i sogni/e a brucare l’arcobaleno/lasciati investire/dal possibile impossibile – scrive Marta in uno dei suoi libri di poesie dal titolo “L’allenasogni” – Bastano un’altalena, tutti i sensi che pensate d’avere, una scorta di fantasia e infinito, una distesa di emozioni in fiore, ma soprattutto una buona dose di voglia di realizzarli per continuare a sognarne di nuovi.

E Marta Telatin di sogni ne ha realizzati parecchi: si è laureata in Scienze della Comunicazione, ha conseguito la laurea magistrale in Sociologia e, poco dopo, il diploma di Master in Criminologia Critica, Sicurezza Sociale, Devianza, Città e Politiche di Prevenzione presso l’Università degli Studi di Padova. Quindi ha seguito un corso di formazione sulla Comunicazione nei Media. È stata poi consigliera dell’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti di Padova per dieci anni. Ha pubblicato, oltre a questo suo ultimo “In tutti i sensi”, altri sette libri, per lo più di coloratissime poesie che sono un vero e proprio inno alla vita, alcune delle quali si trovano anche nelle due antologie corali “Chorus” (Ibiskos, 2012) e “Viaggi di Versi” (Pagine, 2013).

Sempre per Rapsodia Edizioni, pochi mesi fa esce il libro “Tutta colpa del tiramisù”, e se chiediamo a Marta di cosa parla il libro lei ci dà una ricetta: “Esistono tiramisù di tanti generi, tiramisù caleidoscopici creati con ricette  impossibili e fatate, tiramisù che realizzano miracoli e possono trasformare orizzonti, tiramisù che regalano felicità e cambiamento e tiramisù che possono anche sintonizzarsi con il cuore. Questa è la ricetta: aprite un mappamondo a metà, versateci il contenuto di quattro pianeti e un asteroide, preferibilmente il B-612. Poi amalgamate il tutto con cinque cucchiai di zucchero di stelle. Appena tutti i granelli si scioglieranno versateci dentro cinquecento grammi d’amore cremoso e montate a neve di luna cinque arcobaleni. Dovrete mescolare il tutto in senso antiorario dalle fusa del vostro gatto. Se non avete un gatto…procuratevelo! Quindi inzuppate una scatola di biscotti d’immaginazione nella realtà di caffè e spolverate il tutto con un po’ di resilienza al cacao. Ora sì che sarà tutta colpa del tiramisù…!”

Ma torniamo a quest’ultimo meraviglioso “In tutti i sensi” in cui Marta Telatin racconta sì le difficoltà incrociate nella vita e le sue arrabbiature, ma nei vari capitoli – colori, Marta racconta anche le sue esperienze e quelle dei suoi allievi che parlano in prima persona, durante i laboratori nelle classi delle scuole medie e come, superato il primo imbarazzo, i ragazzini apprendono da lei cose semplicissime, ma assolutamente sconosciute, come il capire di che colore sono loro stessi in quel preciso istante, oppure imparare a dare forma e colore ai loro sogni o alla paura, a sbarazzarsi degli incubi, ma anche dei preconcetti, disegnando o scolpendo la creta o danzando, bendati. I ragazzi si divertono tantissimo e la adorano, amano la sua ironia (Marta sa essere molto divertente) e i curiosi esercizi che lei insegna, la scoperta del senso del vento, del mare e dell’infinito, tirando fuori lati e colori di ognuno rimasti prigionieri semplicemente perché nessuno aveva insegnato loro che oltre al tangibile c’è anche un mondo che per divenire tangibile va liberato dall’interno.

Marta Telatin sa essere talmente carismatica e affascinante che persino Michele, il professore di lettere che coordina quei laboratori, si innamora di lei, colorando di un bel rosa l’epilogo del libro.

Ma qual è tra le sue attività quella che Marta preferisce? Scrivere poesie, raccontare storie, dipingere tele o insegnare?

Non ho un qualcosa che preferisco perchè tutto quello che faccio contribuisce a formare quella che sono: un caleidoscopio, come piace definirmi. Porto tutto quello che faccio e tutta quella che sono sempre con me, quindi non è che Marta poetessa smetta di dipingere o di fare i laboratori sensoriali… o non è che se dipingo smetto di fare poesia. I laboratori vogliono appunto trasmettere poesia, colore e sensi: la sintesi! In questi giorni poi sto cercando di creare dopo l’oroscobaleno, una rubrica che uscirà il mercoledì, sempre sulla mia pagina Facebook, dove scriverò i momenti belli di tutte le persone (quelle che mi scriveranno) questo per spiegare che la mia è proprio una voglia immensa di allenare il senso della bellezza!”.

Per dipingere Marta racconta che non ha messo nessuna scritta in braille sui barattoli dei colori. Semplicemente ne tira via il coperchio e prende a caso i colori mescolandoli sulla tela. Le tele diventano poi quadri tattili perché lei usa parecchio colore, cosicché le opere si possono guardare con gli occhi ma anche col tatto. Lei dice che è l’osservatore a dargli un titolo personale e che l’idea è di lanciare colore addosso a chi li guarda.

Una delle sue frasi preferite è “ Io se ci vedessi per colorare perderei la vista”. E in effetti, a guardarli, i suoi quadri esprimono tutta la sua prorompente vitalità, l’energia, la forza motrice, la sua vulcanica voglia di vivere e di fare tutte le esperienze possibili. E provare a farne anche di impossibili.

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interviste

Nicola Viceconti e Patrizia Gradito raccontano la magia della loro novella “L’altra forma dell’assenza”

Incontro con Nicola Viceconti e Patrizia Gradito che raccontano il vero cuore del Messico, dopo il viaggio a Misantla, nello stato di Veracruz, dove i colori, le atmosfere e soprattutto la gente, hanno ispirato “L’altra forma dell’assenza”, novella magica raccontata da un anziano venditore di cachichin, tipici frutti della zona.

Nico   Patgrizia Gradito

È dall’altra parte dell’oceano, nel Messico più autentico, nella rigogliosa vegetazione nello stato di Veracruz e precisamente nell’antica cittadina di Misantla, che la novella “L’altra forma dell’assenza” di Nicola Viceconti e Patrizia Gradito nasce e si sviluppa tra tinte aranciate, leggende, salse piccanti e folate di vento caldo intorno a un anziano venditore di cachichin, frutti particolari che crescono solo in quella parte della sierra.

Questo delizioso libro di sole 95 pagine esce contemporaneamente in Italia, nel catalogo di Rapsodia Edizioni, e in Messico, con la casa editrice Creable (trad. di Losh Zacarias Moreno e Dario Anelli), corredato di alcune foto scattate dagli autori nel corso del viaggio e con la prefazione del poeta misanteco Vicente Mota. “L’altra forma dell’assenza” ha ottenuto i patrocini dell’Ambasciata del Messico in Italia, dell’Associazione “Caminando unidos por Misantla” e del Municipio Fuerte y en grande dell’antica città veracruzana.

Ma chiediamo agli autori i dettagli su come e perché nasce questo libro.

ELISIR – “L’altra forma dell’assenza” s’incastra perfettamente nel progetto letterario Novelas por la identidad, una narrativa che sperimenta generi eterogenei (racconto breve, romanzo, poesia, novella) e che pone al centro l’identità declinata sul piano sociale e individuale. Ma come è nata la spinta a scrivere insieme?

NICOLA – “Novelas por la identidad” è un progetto letterario ideato nel 2009 a cui Patrizia Gradito collabora da un anno. Si riferisce a una produzione che si prefigge di fotografare determinati fenomeni storico-sociali da un’angolatura sociologica unita all’analisi documentale, alla caratterizzazione psicologica e alla narrazione romanzesca, per offrire un messaggio di verità e umanità. La scrittura congiunta, realizzata in “L’altra forma dell’assenza”, si propone di scavare nel tessuto sociale e privato di un popolo, illustrando uno spaccato di un contesto geografico ben preciso per dilatare lo sguardo su tematiche esistenziali. Non si tratta di una novella ideologica né politica in questo caso e nemmeno di un racconto storico. L’opera ha una valenza informativa, ma predomina l’aspetto emozionale connesso alla volontà di dare voce a quella che i teorici de Les Annales (Duby, Le Gotff, Ariès) chiamano “la storia dal basso”, ovvero una storia intima, in cui gli eventi, le date, i personaggi, le battaglie lasciano il posto alle abitudini, alle mentalità, ai sogni, ai desideri, alla geometria delle passioni. In questo senso, è centrale la figura di Pascual, l’anziano venditore di cachichin, che nel racconto assurge a veicolo di una particolare saggezza popolare, incarnando usanze e modi ancestrali di concepire l’esistenza, le dinamiche relazionali e il rapporto con la natura.

Io e Patrizia  ci conosciamo fin dall’infanzia perché abitavamo l’uno di fronte all’altra, ma poi la vita ci ha fatto perdere di vista per almeno quarant’anni. Quando del tutto casualmente ci siamo incontrati di nuovo, abbiamo scoperto di essere entrambi appassionati di scrittura e letteratura e poi abbiamo sentito l’esigenza di sperimentare una coproduzione, per dare spazio alla fusione delle nostre sensibilità, accordando le nostre diverse prospettive e i nostri differenti background formativi, per illustrare una rappresentazione quanto più possibile policroma. La novella, incentrata sulla cultura messicana, è di fatto un tributo a questo popolo così ricco di storia, arte e tradizione.

PATRIZIA – L’ispirazione a scrivere il racconto è nata in occasione della partecipazione al “Festival internazionale di poesia di Misantla”, la città magica nello stato di Veracruz, dove Nicola è stato invitato a presentare l’ultimo suo romanzo “Vieni via” e alcune delle poesie raccolte in “Torneranno i cavalli al galoppo” (Ensemble Edizioni). “Vieni via” è la narrazione della vicenda di un ottuagenario, disilluso dalla ideologia comunista, che decide di cercare una donna amata in gioventù, recandosi prima in Russia e poi in Messico. La seconda metà di quest’opera è ambientata in questo paese, con descrizioni puntuali di Coyacan, il quartiere della capitale che ha ospitato personaggi della statura di Frida Khalo, Trotsky e Diego Rivera e San Miguel de Allende.

NICOLA – Il connubio tra noi è nato in occasione della presentazione del citato romanzo presso l’Ambasciata del Messico nel dicembre dello scorso anno, da cui si è sviluppato uno scambio intellettuale e creativo molto stimolante, frutto di passioni sviluppate anche in ambiti culturali diversi tra loro. Abbiamo prodotto così un racconto, destinatario di un premio al concorso letterario internazionale “Il Convivio 2018”, “Stella Stellina… la notte si avvicina”, inedito e che farà parte di una nostra prossima raccolta. Ispirato ad una storia vera, è dedicato ai controversi casi giudiziari degli italiani all’estero, (allo stato attuale circa 3.000), al dramma della carcerazione preventiva in territorio straniero e alla violazione dei diritti umani previsti dalle convenzioni.

La stesura di “L’altra forma della assenza” celebra l’identità dei misantecos e si misura con nuove interpretazioni esistenziali. Ogni assenza, ogni dolore può essere tenuto e trasformato e assumere forme inaspettate a seconda di come scegliamo di muoversi. La semplicità e l’armonia respirate in quel territorio, sia in ambiti informali e familiari, sia in circostanze che coinvolgevano l’intera collettività, certamente più istituzionali, avvolgono il popolo di Misantla di un’aura di solennità rituale e di cura, qualità preziose, che sembrano essere retaggio delle popolazioni ancestrali.

ELISIR – “L’altra forma dell’assenza” è troppo lungo per essere un racconto e troppo breve per essere un romanzo. Le “novelle” sembrano essersi estinte nell’altro secolo e riportano a una maniera un po’ antica di raccontare. Come mai avete deciso di scrivere una novella ?

NICOLA – Abbiamo scelto il genere della novella perché pensiamo che rappresenti un genere narrativo forse non molto diffuso attualmente in Italia, ma che offre però una notevole versatilità nello strutturare un’architettura più complessa del racconto breve e più sintetica del romanzo e anche perché lo abbiamo ritenuto più funzionale per sperimentare un avvicinamento al realismo magico respirato in Messico. “L’altra forma dell’assenza” nasce soprattutto dal desiderio di voler fissare per sempre e trasmettere le percezioni indelebili che abbiamo sperimentato e per dare voce alle emozioni che un luogo magico come Misantla ci ha regalato attraverso la combinazione di storia, leggende e contatto con natura. In questo periodo ci siamo confrontati su letture di Marquez, Rulfo, Cortazar e Kafka che hanno lasciato una forte impronta sulla nostra scrittura. La narrazione si articola su tre storie allacciate in una in una geometria attenta, con salti indietro e in avanti che accompagnano il lettore in un mondo favolistico, in cui aleggia la tensione tra passato e futuro e, al contempo, l’analisi di un preciso paradigma, quello dell’accettazione delle vicende umane. Senza negare la morte, il dolore e l’oscurità, la breve opera offre una visione della vita di tolleranza e di speranza e pone l’accento sull’importanza delle relazioni umane e sulla capacità di integrazione.

ELISIR –  Patrizia Gradito ci spiega perché ha scelto di collaborare con Viceconti?

PATRIZIA – Ho incontrato Nicola Viceconti per tradurre i suoi testi e per stilare note critiche delle sue opere letterarie. Poi, leggendo le sue opere avvincenti, ne sono rimasta profondamente colpita e, ad una ad una, dai racconti a “Nora Lopez”, da “Cumparsita” a “Due volte ombra”, Viceconti è riuscito a trasmettermi il rispetto, la passione e la curiosità per il mondo ispano-americano. “Èmet”, ad esempio, mi ha permesso di vedere certi aspetti della storia tedesca e del Nazismo che conoscevo appena. Ha stimolato in me la voglia di approfondire certi eventi storici, di riprenderne altri e di riparlarne. Ho trovato la sua produzione emozionante, ricca di spunti interessanti e di una certa levatura, con molti richiami all’espressionismo tedesco, che  in effetti ha agganci con il realismo magico, corrente letteraria che ho approfondito proprio grazie a Nicola Viceconti. Una passione autentica la sua che trascina, contagia e che ora condividiamo.

Del resto il nostro viaggio in Messico ha rappresentato una rivelazione per entrambi, sia dal punto di vista naturalistico, sia da quello archeologico e letterario. Disertando le rotte turistiche consuete, si è trattato di un’ esplorazione nel cuore del mistero della cultura messicana, dove lo sguardo poetico di Nicola ci ha accompagnato a cogliere le sfumature più intense di questa terra, regalandoci incontri, colori, sfumature, emozioni e l’autenticità di un popolo saldo nelle tradizioni, nei valori dell’amicizia e della tutela della collettività, soprattutto a  Misantla, cittadina dello stato di Veracruz, in cui il rapporto con le persone è stato molto stretto. Giorni memorabili vissuti con il cuore aperto all’esplorazione di usi, costumi e di una cultura ricca di storia, miti, natura, leggende e reminiscenze ataviche,  che si è tradotta poi in un magico scambio di prospettive, commozione e riflessioni esistenziali. Questa esperienza ci ha regalato l’ispirazione per una narrazione che osserva percorsi di vita e scelte senza moralismi e con una scintilla di meraviglia, per cui la magia più preziosa è quella dell’ascolto e dell’incontro. Collaborare con Nicola è entusiasmante, il nostro è uno scambio complesso e di costante nutrimento, una complementarità che ha dato luogo a un vero connubio di cui sono grata.

Mi ha molto colpito il rispetto e l’importanza che i poeti e la poesia rivestono per i messicani in generale e dei misantechi in particolare, quale strumento per loro di espressione e condivisione popolare per eccellenza. In occasione di una visita ad una scuola primaria, Nicola Viceconti ha avuto l’iniziativa di lanciare un laboratorio di poesia a piccoli gruppi, subito accolta favorevolmente. Quella è stata un’esperienza davvero significativa, gioiosa e molto emozionante. In quell’occasione, a contatto con i bambini, ho constatato la generosità di Nicola Viceconti e la sua capacità di giocare con le parole, di far esprimere ai bambini lo sguardo poetico sulla vita, come qualcosa di familiare, tangibile, naturale. Ho assistito al processo creativo in cui i bambini hanno composto insieme a lui una poesia dal titolo “El perro y el pinguino”, delicata e divertente, che narra di un pinguino che nella piazza di Misantla incontra un cagnolino legato alla catena il quale, una volta liberato, sotto il caldo torrido, gli offre un gelato. La tenerezza e la delicatezza che lo contraddistinguono si accostano molto al personaggio che illustrava le sue poesie, Simplicito, l’acquerello del pittore argentino Roly Arias, che sottolinea alcuni versi di Viceconti.

Copertina

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Recensioni

Il vento e le promesse

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     Una toscana a New York tra politica e romanticismo: il dietro le quinte delle ultime elezioni americane

Antonella Gramigna – Giuliano Ladolfi Editore – 2018 – 140 pagine – € 12,00

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Correva l’anno 2016 e l’America viveva un momento storico assai particolare, quello del cambio della presidenza dopo Obama, nel medesimo periodo in cui in Italia c’era il referendum costituzionale, mentre negli Stati Uniti d’America la corsa alla Casa Bianca vedeva in gara Hillary Clinton e Donald Trump.

“Il vento e le promesse”, il romanzo d’esordio di Antonella Gramigna, è l’avvincente storia di un’avventura politico-sociologica-passionale che trasporterà la Anne della finzione narrativa, ma forse anche la Antonella che ne è l’autrice reale, attraverso vicissitudini nell’ambito della politica in una città come New York, raccontata da colei che ha vissuto dietro le quinte l’organizzazione della mastodontica macchina elettorale.

“Il vento e le promesse”, è un romanzo di attualità che tra qualche decennio potrebbe forse venir collocato nella categoria letteraria denominata romanzo storico, poiché racconta la storia politica di un Paese – gli Stati Uniti – e sullo sfondo quella di un paese molto più ristretto, l’Italia.

C’è Anne, donna non giovanissima, ma sempre innamorata della vita, delle passioni e dei forti ideali che l’hanno sempre contraddistinta, un essere semplice, capace di amare alla follia, ma di soffrire altrettanto, che parte dall’Italia, chiamata a lavorare nello staff di comunicazione della campagna americana alle presidenziali, un invito arrivato all’improvviso come un vento forte e deciso, carico di promesse scrive l’autrice, e da questa definizione trarrà poi spunto per il titolo del libro.

Il team americano è preparato e very cool e Anne è molto emozionata, ma anche assai orgogliosa di farne parte. Dalla sua ha l’intelligenza e un ottimo curriculum, nonché un fidanzato protettivo rimasto a casa  che la chiama ogni giorno, che la supporta e la sprona a seguire le sue passioni e a far tesoro dell’esperienza americana.

Tutto inizia bene, dopo le prime notti in albergo Anne approda in un grazioso appartamentino nel cuore di Soho, il quartiere più cool di Manhattan, che sarà la sua casa nei mesi di questa full immersion negli States, la vicina di casa è una simpatica violinista e i suoi colleghi sono davvero very friendly e la accolgono nel team nel migliore dei modi. Il lavoro – le spiegano – sarà duro, del resto studiare la strategia di comunicazione per la politica di un’aspirante candidata alla Casa Bianca non è certo cosa semplice, né capita tutti i giorni, ma il boss, Mister Liam Benson, è deciso, determinato e carismatico, ma è anche un tipo alla mano e la sua assistente di colore Mary Ann, appassionata di tutto ciò che arriva dall’Italia, le si dimostra subito amica.

In tutto il romanzo si parla di politica, si fanno parallelismi tra la bionda Hillary e il fiorentino Matteo Renzi, si racconta della Leopolda e del tax gap, il sistema fiscale che Obama ha sempre tentato di aggiustare in qualcosa di più equo, si fanno confronti tra il sistema fiscale del nostro paese con quello americano, ci sono paragrafi di economia, discorsi sulla finanza e accenni di geopolitica, che fanno de “Il vento e le promesse” un libro un po’ atipico, a metà tra il romanzo e il saggio. Da un momento all’altro, ti aspetti la storia d’amore travolgente, magari col manager americano dagli occhi magnetici tutto dedito alla carriera, che viene conquistato dall’empatia e dall’intraprendenza di Anne, ti aspetti il coup de foudre, come in ogni buon film americano che si rispetti, con in sottofondo la musica di Ed Sheeran e James Blunt.

Le pagine scorrono veloci ed è solo verso la fine che qualcosa si muove in tal senso, ma la love story tra i due è solo appena sfiorata durante una cena elegante, sul battello che naviga lentamente l’Hudson al tramonto. E’ qui che Mister Liam confessa ad Anne un dolore antico e Anne, sebbene combattuta, conviene che la sua vita è nella sua Toscana, così finisce ancor prima di iniziare una di quelle storie che potevano essere ma che non sono state.

Intanto i giorni si susseguono veloci e i preparativi per l’elezione del quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti d’America si fanno sempre più convulsi.

Camminando per la Grande Mela la protagonista si lascia docilmente travolgere dal flusso della folla e dalla vita che pulsa frenetica in quella città che non dorme mai.

Essere newyorkese è uno stato mentale si convince Anne, mentre cammina a naso in su nella verticalità di Manhattan, mostrando al lettore quella New York che conosciamo soprattutto dai film e quell’America in cui tutto può accadere e dove ogni sogno può avverarsi.

Intanto i due candidati alla Casa Bianca non si risparmiano stoccate e colpi bassi di fronte a cento milioni di telespettatori, futuri votanti. Hillary accusa Donald di varie nefandezze, e lui controbatte che lei, con tutto il suo sbandierato femminismo, si presenta ancora con il cognome del marito. Trump ha dalla sua il forte potere economico e la parte americana meno democratica e più conservatrice. La Clinton è invece più comunicativa e, forse, più vera, tanto che inizialmente sembra essere lei quella con più consensi.

E’ autumn in New York e, proprio come nel capolavoro cinematografico di Joan Chen con Richard Gere e Winona Ryder, Central Park offre un romantico e scenografico spettacolo di colori, che Antonella Gramigna sa descrivere molto bene. Anche qui sembra quasi di sentire una delle struggenti colonne sonore dei tanti film che hanno avuto come palcoscenico queste straordinarie location.

Attraverso la campagna elettorale americana, la protagonista ripercorre la sua vita in flash back, il suo impegno politico fin da giovanissima, la sua preparazione che l’ha portata fin oltreoceano e che sembra aver conquistato tutto il team americano, ma proprio quando Anne si era quasi abituata alle diverse abitudini, alla pioggia di New York, al traffico frenetico e perfino al caffè lungo americano, quella bevanda scura che definirla caffè è ingiuria, arriva l’ora di risalire su quell’aereo che la riporterà in patria.

“Il vento e le promesse”, che termina con una mail lunga e appassionata, inviata un anno dopo a Mister Liam, è la giusta lettura per capire un po’ di più il sistema politico americano, per trovare stimoli a credere che con l’impegno e il continuare a confidare nei propri sogni si possa ancora cambiare un sistema che non ci piace, ma è anche utile per immergersi in scenari tipicamente newyorchesi senza muoversi dal proprio divano.

L’autrice spesso usa citazioni, non ultima quella presa in prestito da una canzone dell’atipico trio Sergio Endrigo, Giuseppe Ungaretti e Vinicius de Moraes, la vita è l’arte dell’incontro, e sostiene che oggi noi siamo esattamente il prodotto di ciò che abbiamo vissuto, con ogni sfaccettatura. Con gioie e dolori, perdite e amicizie nate per caso, delusioni e passioni che ci accompagnano. Talvolta si rimane scottati, ma dopo un bel respiro occorre rialzare la testa, e continuare a inseguire i nostri sogni. Mai fermarsi nel percorrere la vita.

E a noi di Elisir viene anche voglia di aggiungere “Yes, we can!”

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Recensioni

Il valore dello scarto

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Sette illustri testimonianze che spiegano perché ciò che per molti è scarto diventa risorsa per altri

Il valore dello scarto – Carla de Angelis e Stefano Martello –                                          Fara Editore – 176 pagine – € 15,00               

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Il valore dello scarto (Fara Editore) è un lavoro curato da Carla De Angelis e Stefano Martello che raccoglie, inoltre, contributi di Annalisa Ciampalini, Claudio Fraticelli, Alex Celli, Bruno Barlassina, Alessandro Lamberti.

Entrare eccessivamente nei dettagli dei loro scritti sarebbe intrusivo, perché è onesto che ciascun lettore tragga dagli autori stessi il senso più profondo e autentico delle loro teorie.

Leggerli, sorprende: la luce narrativa di ciascuno di loro illumina aspetti della nostra vita con enunciati e teoremi dimostrati, parola su parola. 

Lo scarto è sviscerato in ogni suo aspetto, nella vita in comune, nella poesia, nelle emozioni, nell’insegnamento e nel percorso educativo, nella partecipazione pubblica, nel settore del diritto, nel mondo del mito, nell’architettura urbana.

Scrivono Carla De Angelis e Stefano Martello nella loro introduzione:

“ (…) valore e scarto – abilmente evocate da un Editore – (…) sono state queste due parole a imprimere prepotentemente una direzione a questo testo, accorciando tempi di riflessione sempre più morbidi e languidi imponendo a coloro che scrivono di trasformare il proposito in progetto.”

Annalisa Ciampalini, nell’indagare lo scarto educativo, sollecita il ruolo della scuola che, già di per sé, dovrebbe costituire una società inclusiva e che, invece, a volte finisce per essere un luogo che facilita lo scarto umano ingessando processi di apprendimento in metodi non sempre adeguati.

E Stefano Martello procede con l’interessante analisi del valore dello scarto nella partecipazione pubblica, un passo dopo l’altro nella storia dentro la nostra società, includendo mirabilmente, nel suo percorso, l’efficace citazione di Trilussa: “Sovrano come er popolo sovrano che viceversa nun comanna mai”.

Incalza poi Claudio Fraticelli che si addentra nel disaminare il diritto tra valore e scarto che “ (…) significa per un giurista occuparsi di termini fondamentali per le sue conoscenze.” Fa notare inoltre che “ (…) il diritto si nutre e si struttura per mezzo del linguaggio; la sua esistenza è affidata alla misteriosa capacità comunicativa degli uomini”.

Si apre poi il capitolo di Alex Celli che è un viaggio nella spiritualità e nelle religioni, nel mito, tra gli eroi antichi e moderni, sacri e profani, nel culto della magia legata all’idealizzazione eroica di un uomo… sempre alla ricerca del valore dello scarto.

Segue la puntuale argomentazione di Bruno Barlassina che spiega il valore dello scarto in architettura: “Intervenire su un luogo di scarto, che sia un territorio abbandonato o una costruzione dismessa, equivale a relazionarsi con due entità imprescindibili: il Tempo e lo Spazio.”

Eliminare o mettere da parte? E’ la domanda inevitabile con cui si chiude l’opera.  Questo ultimo capitolo, scritto da Alessandro Ramberti, si apre con alcuni versi di una poesia di Carla De Angelis: 

Porto sulle spalle

quel milione di cose come pegno di vita

Ora me ne disfo con un leggero malessere (…)

E prosegue l’autore, entrando nella peculiarità del suo dire: “ Dunque lo scarto del despota produce un cambiamento fondamentale (…) Il tiranno tende a eliminare le differenze, a reprimere le libertà, a togliere dalla circolazione gli elementi inutili, difettosi, quelli che considera dannosi al suo ordine”. Egli inoltre si sofferma sull’accezione positiva della parola scarto, un valore che il termine assume quando “lo scarto diventa etico, orientato al bene comune. Pensiamo allo scarto delle cose pericolose per la salute (…)”.

Con questa brevissima panoramica che percorre i vari capitoli, vogliamo soltanto solleticare l’interesse del lettore verso la lettura diretta di questo lavoro prezioso e assai originale.   

Mi piace pensare a questo libro con un velo di magia, per associarlo al ricordo di una consueta attività nella quale mi immergevo da ragazza, durante le sere invernali in cui non riuscivo a stare con le mani in mano davanti alla televisione. Con gli scarti della lana, con gli avanzi di maglie e sciarpe già finite, lavoravo quadrati all’uncinetto, di tanti colori, recuperando guglie di lana e piccoli gomitoli che, diversamente, sarebbero rimasti inutilizzati.   Da soli, quei quadrati, non avevano un senso né un uso possibile ma, quando erano tanti, li univo, sempre usando il filo di lana e l’uncinetto, con il punto basso. Ne facevo coperte che, in seguito, hanno avuto l’importante ruolo di scaldare le notti dei miei figli. E ancora girano nella nostra casa.

Allo stesso modo, le parole di questi autori hanno tessuto nove grandi riquadri, lavorando, con vari colori tematici, il filo dello scarto. Ogni quadrato, di suo, pur essendo un raffinato capolavoro, resta immobile nella sua essenza ma, unito a tutti gli altri, nel libro che andrete a leggere, acquisisce una funzione specifica perché assume il valore di una coperta di lana che scalda le notti dei figli del nostro tempo storico, eredi indiscussi della precarietà.

È una coperta da leggere attentamente e lentamente affinché si possa sedimentare il contenuto delle tematiche illustrate dagli autori.

Ogni parola di quest’opera, proprio come ciascuno dei punti a maglia della coperta, costituisce per il lettore una salda occasione di riflessione, ancorata all’espressione cultuale e alla squisita sensibilità degli autori. 

Concludo mettendo in risalto  la forza persuasiva del capitolo scritto da Carla De Angelis:

Vita  in comune e poesia: 

“Forse è cosí che si muore 

svuotando e regalando

un motivo per contare le stelle rasentare il fiume

e parlare alla luna

Mille motivi per tenere uno zerbino alla porta

per asciugare i piedi di mare e lacrime di sale” .  

Già solo la potenza della frase poetica basterebbe a rendere chiara l’immagine legata al malessere profondo di questo nostro tempo storico: ci appesantiamo di ciò che ci abbrutisce e ci disfiamo di ciò che potrebbe salvarci. Quello che ha valore per la nostra società si muove, troppo spesso, contro l’autentica essenza umana e quindi dobbiamo ritrovare, in noi e intorno a noi, il valore dello scarto per garantire all’umanità nuovi orizzonti.

@Laila per Elisir Letterario– all rights reserved

Recensioni

IL MARE E NON SOLO La forza poetica di una piccola grande poetessa

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Mi fido del mare – Poesie – Carla De Angelis – Fara Editore  2017 –

108 pagine – €10, 00

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Amo così tanto il mare

che vedrei azzurra anche la morte

se mi cogliesse mentre nuoto

verso l’altra sponda”.

Carla De Angelis, scrittrice, poetessa e infaticabile portatrice sana di bella poesia nelle biblioteche e nei luoghi più affascinanti della Capitale, non è nuova a dichiarazioni d’amore verso il Mare. Già negli anni precedenti l’uscita di questa deliziosa silloge di ben novantadue liriche senza titolo, sempre per Fara Editore, aveva pubblicato Salutami il mare e, per i tipi di Progetto Cultura, Mi vestirei di mare.

Ma perché fidarsi del mare? Per la sua bellezza, poesia, vastità e musica? Per essere metafora di vita in movimento, di viaggio e di Natura allo stato puro? Per il suo profumo e per l’energia che emana, per il suo essere così variabile e volubile? Perché è maestoso e sublime, per i suoi colori, per saper accogliere e restituire i raggi del sole? Certamente per queste e per molte altre ragioni ancora.

Mi fido del mare ci racconta di emozioni e ricordi, dell’infinito e dei miracoli della natura, quella di Carla De Angelis è una poesia evocativa e profumata – non solo di mare – dolce e penetrante, benefica come una tisana di cardamomo e zenzero in un piovoso pomeriggio d’inverno.

In ognuna delle liriche è evidente la ricerca della parola, che non è mai ridondante o barocca, ma è invece suono e musica, ed è persino, talvolta, intrisa di sottile ironia, proprio perché l’autrice sa essere assai abile con l’uso del verso poetico e conosce perfettamente la via preferenziale per arrivare dritta al cuore di chi legge.

Ci sono i semi e le zolle, i tramonti e gli albatros in queste pagine e anche l’acqua e la farina per impastare il pane e le foglie alzate dal vento (Me ne andavo/ a passo svelto/ il vento diveniva bufera/disordinava le cose/ vestiva di foglie le case).

Quella di Carla è anche una poesia sincera che, proprio come il mare, non si traveste, non vuole apparire bensì semplicemente essere, ed è anche in questo la sua forza.

L’autrice possiede inoltre un perfetto senso del ritmo, tanto che ascoltando alcuni versi sembra di ascoltare una musica (…la strada è tracciata – fingo di non saperlo – provo a recitare. Sono un contorno del mondo/ non oso deviare). Nelle poesie della De Angelis è presente anche l’accettazione, serena, della vita che comunque è stata poco generosa:

Non sappiamo fare di più che

apprendere a vivere e morire

E credere di vivere ogni giorno

insieme a nostalgie che spingono altrove

come la corrente un tronco sul fiume.

Ma il mare della poetessa è anche salato, proprio come le lacrime, e i versi di Carla cantano anche di quel malefico incantesimo che ha portato via la bellezza alla sua bambina appena venuta al mondo, proprio come nelle favole, sebbene non a causa del sortilegio di una fata cattiva, bensì per volere di una luna nera, di certo invidiosa di una fresca, felice maternità. A saper leggere tra le righe e tra i versi, si intravedono sullo sfondo le vecchie streghe della società agreste e contadina del meridione, le janare beneventane (anticamente nel meridione si riteneva che i bimbi che manifestavano improvvisamente deformazioni nel fisico, fossero stati nottetempo passati attraverso il treppiede che si usava nel focolare per sostenere il calderone. “La janara ll’è passato dinto ‘u trepète“, ovvero “La janara lo ha fatto passare attraverso il treppiede“).

La luna invidiosa della tua bellezza

quella notte si posò accanto al tuo lettino

rubò qualcosa di te

basterà la vita per ritrovarlo?

 In Mi fido del mare il richiamo a questo dramma è intuibile più volte, come ad esorcizzare un dolore che è ineluttabile e sempre presente, ma che l’arte poetica della De Angelis riesce magnificamente a illuminare di una Luce che sfiora il divino.

Tutte le poesie sono scritte con un ritmo pacato, proprio di un’anima zen qual è quella dell’autrice e il libro si fa leggere in un fiato, proprio perché è un concentrato di bellezza. Salvo poi riprenderlo in mano e leggerlo ancora, per trovare nuove chiavi di lettura come, ad esempio, quelle dell’ignoto e del viaggio, come metafore della vita di ognuno di noi. E, ancora, una terza volta, quando scende la sera e il mondo abbassa il volume del suo rumore, per lasciarsi condurre dal fluire delle parole, come immersi nell’acqua trasparente e cristallina in un torrente di montagna, a percepire l’armonia e l’intensità delle parole che Carla De Angelis ha saputo accordare come il migliore dei musicisti accorda il suo strumento.

E chiudiamo con la penultima delle sue liriche, in cui abbiamo ritrovato sì l’accettazione, ma anche quella virtù ormai in via di estinzione che si chiama temperanza.

Non voglio perdere l’emozione

di scrivere in corsivo

di guardare il cielo punteggiato di stelle

intascare quell’eternità che fa precario

il nostro passaggio

 Abbiamo sogni stesi al sorriso

tagliamo ostacoli

col respiro che si affanna

occhi che si specchiano in altri occhi

poi lentamente o di corsa

con amore o con rabbia

l’eco della vita sarà inferno e paradiso

 

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Recensioni

IL VENTO POETICO DI MARIANO CIARLETTA

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Il vento torna sempre – Poesie e Aforismi – Mariano Ciarletta – La Vita Felice – 2018 – 44 pagine – €10, 00

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Il vento torna sempre, piccola silloge poetica del giovanissimo salernitano Mariano Ciarletta, che a soli ventisei anni ha già all’attivo tre romanzi horror e quattro raccolte poetiche ed è dottore in Conservazione dei Beni culturali presso l’Università degli studi di Salerno, è arrivata a noi di Elisir Letterario proprio come un fresco vento di primavera.

Composto da ventisei poesie e ventiquattro aforismi, con la preziosa prefazione di Rita Pacilio, il libro prende il titolo dal verso che chiude la lirica intitolata Segreto, in cui si percepisce giusto un accenno di soave erotismo.

Amori giovanili (e come poteva essere diversamente?), tormenti dell’anima, emozioni, instabili equilibri, sensazioni, vissuti quotidiani e quel mal de vivre proprio degli animi sensibili di poeti e artisti d’ogni tempo permeano ogni pagina di questo grazioso libro. E si avverte anche quella dicotomia tra la volgare realtà quotidiana e la purezza di vivere appieno la vita, con il vento sempre presente, metafora di impermanenza e instabilità.

Dalla poesia Crisalide che racconta una storia di bullismo, ha vinto concorsi letterari e ha lasciato evidenti cicatrici nell’animo del poeta (…I segni restano/nel gesto/nella risata/quello schiaffo…), è stato realizzato un videoclip molto apprezzato dal popolo del web.

Interessante anche la lirica Il cuore dei numeri, intrisa di tenerezza, in cui si indovina un delicato rapporto padre – figlio, in bilico tra razionalità e pragmatismo paterni e poetici voli letterari giovanili.

…Tu hai i numeri,

io le domande.

Ma se anche i numeri avessero un cuore?

Forse anche le addizioni sanno fare l’amore.

Covare emozioni tra prosa e calcoli.

Siamo rette parallele,

l’abbraccio di numeri e lettere.

E il vento di Mariano tocca e smuove anche le corde del lettore maturo, che rivive certamente quel tempo in cui arrendersi al giogo della vita ancora pareva possibile e riassapora il gusto di quelle lotte giovanili, innescate non solo con sé stessi, per poter conquistare il proprio posto nel mondo.

Il vento torna sempre anche in Non ti dirò che t’amo e nella poesia che segue, Acerbo, in cui …il sussurrare del maestrale/mi chiederà di te/ferendo a sangue la lingua di orgoglio, dove l’amor perduto è cantato quasi come ai tempi dell’amor cortese, perché tale è l’animo di Mariano Ciarletta.

Seppure gli aforismi che completano questo libro siano certamente intelligenti, ben congegnati, a volte divertenti e con un ottima sintesi, preferiamo il Mariano poeta, perché è nella poesia che questo énfant prodige dà sicuramente il meglio di sé. In particolare nella lirica Madri è racchiusa tutta l’essenza poetica dell’autore.

Ciò che fanno le madri

è annusare la tua essenza.

Ciò che le madri sanno

i sorrisi, i dolori.

Le madri sentono

come sentinelle alla torre.

Le madri prevedono

i morsi sul cuore

e l’acido nelle vene.

Le madri sanno ciò che noi sapremo.

Chiudiamo questa “chicca” di piccolo grande libro, Il vento torna sempre di Mariano Ciarletta, con un paio di piccoli concentrati di saggezza sui quali vale la pena riflettere:

Siamo bravi a ferirci ancor prima che la vita ci abbia parlato di dolore.

Ci ostiniamo a inseguire la perfezione nonostante sia l’imperfezione a renderci veri.

 

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